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Il T.U. degli impiegati civili dello Stato approvato con il d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 e il relativo regolamento di esecuzione approvato con d.P.R. 3 maggio 1957 n. 686, hanno storicamente costituito un corpo organico e razionale di norme al quale si sono ispirate e al quale hanno sempre fatto riferimento e rinvio le varie normative concernenti i settori del pubblico impiego anche diversi da quello statale.

Tali norme, appaiono oggi tuttavia, superate a seguito dell'evoluzione subita dall'ordinamento del pubblico impiego per effetto del processo c.d. di privatizzazione del P.I.

Infatti, il modello a cui si ispirava la legislazione in materia di pubblico impiego, quale risultava principalmente dallo statuto sugli impiegati civili dello Stato (t.u. 10 gennaio 1957 n. 3), si fondava su una disciplina nettamente differenziata rispetto a quella utilizzata per l'impiego privato e assegnava costante prevalenza all'interesse pubblico, anche se comunque prevedeva una tutela a volte più intensa di quella prevista per i dipendenti di datori privati.

Questo modello, in forza di una notevole evoluzione legislativa, è stato oggi abbandonato. Ciò essenzialmente è dovuto sia all'introduzione della contrattualizzazione nel pubblico impiego, sia alla crescente esigenza di applicare anche al rapporto di pubblico impiego i principi propri del diritto del lavoro.

L'applicabilità del T.U. resta, dunque, oggi limitata a norme di carattere generale relative ad aspetti che non risultano specificamente disciplinati da singole normative dei vari settori.

Altra norma cardine è la legge 29 marzo 1983 n. 93 non a caso intitolata "Legge quadro sul pubblico impiego" le cui disposizioni, così come previsto dall'art. 1, costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione e alla quale la Corte Costituzionale, pronunciandosi su una serie di questioni di legittimità attinenti alla legge nel suo complesso e a singole disposizioni, ha attribuito natura di riforma economico-sociale in ragione del suo contenuto, delle motivazioni politico-sociali, del suo scopo, delle modifiche che essa introduce nei rapporti sociali (C.Cost. 13 luglio 1984 n. 219).

Tale norma definisce per la prima volta l'ambito della riserva contenuta nell'art. 97 della Costituzione specificando (art. 2) le materie disciplinate da legge (statale o regionale) o, sulla base della legge, da atto regolamentare o amministrativo e quelle disciplinate (art. 3) in base ad accordi nell'osservanza dei principi di cui al richiamato art. 97 e nel rispetto dei limiti derivanti dal precedente art. 2 e degli obiettivi programmatici fissati nell'art. 4 (omogeneizzazione delle posizioni giuridiche, perequazioni e trasparenza dei trattamenti economici, efficienza amministrativa).

Istituzionalizza il sistema degli accordi definendone in maniera organica i principi e le procedure (artt. 5-16).

Fissa principi normativi di omogeneità in materia di qualifiche funzionali, profili professionali, modalità di reclutamento (per il quale si riafferma la necessità della procedura concorsuale), formazione e aggiornamento professionale, responsabilità, procedure e sanzioni disciplinari (artt. 17-22).

La legge quadro, allargando l'area della contrattazione collettiva fin quasi al limite della riserva costituzionale ed estendendo ai pubblici dipendenti, in parte direttamente e in parte attraverso la mediazione degli accordi sindacali, una serie di norme dello Statuto dei Lavoratori, prefigurando un processo amministrativo di pubblico impiego modellato su quello del lavoro privato, conferma indubbiamente quel processo di omogeneizzazione e di convergenza da tempo in atto tra il rapporto di pubblico impiego e il rapporto di lavoro privato ed evidenziato più volte dalla stessa Corte Cost. (cfr. Corte Cost. n. 298 del 1975, nn. 47 e 118 del 1976 e n. 68 del 1980).

Ma la così detta privatizzazione del pubblico impiego è stata introdotta solo dal d.lgs 3 febbraio 1993 n. 29, emanato in attuazione della delega conferita al governo dall'art. 2 della l. 23 ottobre 1992 n. 421.

Tale decreto è stato però più volte modificato, ma essendo poi scaduta la delega, con la l. 15 marzo 1997 n. 59 è stata conferita una nuova delega, in base alla quale è stato poi emanato il d.lgs 31 marzo 1998 n.80, con il quale sono state apportate nuove e significative modifiche.

Sempre sulla base della delega del 1997, sono state poi raccolte e coordinate tutte le disposizioni vigenti in materia di pubblico impiego nel d.lgs 30 marzo 2001 n. 165, con il titolo di "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni" (t.u. pubblico impiego).

In ordine alle conseguenze della privatizzazione, va evidenziato come la sostituzione della disciplina legislativa con quella di natura contrattuale ha comportato molti cambiamenti, primo fra tutti proprio il superamento della distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi e tra atti autoritativi e atti paritetici, essendo stata tutta la materia del lavoro pubblico, tranne poche eccezioni, assoggettata interamente alla contrattazione collettiva.

Infatti oggi, "anche quando la pubblica amministrazione utilizza i propri poteri discrezionali nei confronti di un pubblico dipendente (ad es. un trasferimento di ufficio o una sanzione disciplinare), essa non pone in essere dei veri provvedimenti amministrativi".

La norma d'esordio del D.Lgs. 165/2001 enuncia quelle che sono le finalità fondamentali della riforma introdotta dalla legge delega n. 421/1992 ed inizialmente varata con l'originaria formulazione del D.Lgs n. 29/1993, poi perfezionata dall'ulteriore intervento dei decreti n. 80 e n. 387 del 1998.

Tali finalità, così come espresse dal comma 1 dell'art.1, coincidono con la volontà e la necessità di perseguire una serie di obiettivi fondamentali.

Innanzitutto "accrescere l'efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dei Paesi dell'Unione Europea, anche mediante il coordinato sviluppo di sistemi informativi pubblici". Il riferimento alla efficienza si deve intendere in senso lato, comprensivo cioè del miglioramento qualitativo e quantitativo dei servizi misurato sia in relazione ai loro costi, sia in relazione alla soddisfazione dei cittadini utenti.

In secondo luogo il legislatore pone l'obiettivo di "razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica". Infine si dice nel testo è necessario "realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni, curando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti, garantendo pari opportunità alle lavoratrici ed ai lavoratori e applicando condizioni uniformi rispetto a quelle del lavoro

privato".

I principali canali d'intervento che il legislatore ha inteso perseguire per raggiungere tali obiettivi sono due: da un lato la riorganizzazione degli uffici pubblici, e dall'altro quella così detta privatizzazione dei rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, tenuto conto, peraltro, delle peculiarità proprie di ogni singolo ambito ordinamentale.

Sempre nell'art. 1 ma al comma 2, il legislatore si preoccupa poi di individuare anche l'ambito di applicazione del nuovo ordinamento. Si chiarisce infatti che per "amministrazioni pubbliche" si devono intendere "tutte le amministrazioni dello stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunita' montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale.

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